I gatti non hanno nome è il racconto in prima persona di un’adolescente dell’estate che ha passato a lavorare nella clinica veterinaria degli zii, parcheggiata lì da dei genitori troppo impegnati nell’esercitare il proprio lavoro o nel godersi le proprie vacanze. Non c’è una trama vera e propria, il romanzo è in continuo divenire come la personalità della protagonista, in cerca di un posto nel mondo e del nome perfetto che farà finalmente rispondere il gatto randagio della clinica al suo richiamo. Così, ispirata da qualsiasi evento le capiti d’intorno, stila elenchi su elenchi di nomi senza però essere mai soddisfatta di nessuno di questi, sospesa com’è a metà fra l’illusione di poterne trovare uno perfetto e la coscienza che tanto, i gatti, non risponderanno mai a nessuno. Non è un caso che un nome non ce l’abbia nemmeno lei.
A metà fra quel realismo magico tipicamente sudamericano, che trova la massima espressione nei nonni e nella colf, ovvero il retaggio del passato, e uno stile pop che ricorda di più la letteratura americana contemporanea, la giovane protagonista, il presente, il romanzo è un caleidoscopio di personaggi fuori dagli schemi e indimenticabili, di situazioni realistiche e paradossali allo stesso tempo, di animali particolarissimi e di musica, che sembra essere l’unico modo per i giovani di esorcizzare quel senso di straniamento e di inadeguatezza che l’incomprensibile vita degli adulti gli fa provare. Che poi, pure loro, non è che questo ideale posto nel mondo l’abbiano proprio trovato, anzi.
“Il problema è che senza un nome i gatti non rispondono, e perché mai dovremmo volere un animale che non viene quando lo si chiama? Ci si adatta: diciamo Aníbal, Aprile, Pelusa e i nomi rimbalzano come acqua sul pelo del gatto. Diciamo Merlín, Alba, Jesús e i gatti, come se non li riguardasse, vanno a leccarsi il culo in direzione opposta. Da buttarsi dalla finestra.”
In questo genere di romanzi, che non hanno una trama netta ma sono dei collage di situazioni e aneddoti, il lavoro dell’autore si fa, se possibile, più difficile. Posso dire con una certa sicurezza che Rita Indiana è un fenomeno. Ha una capacità fuori dal comune di trasformare il quotidiano in straordinario e di riuscire nel difficile compito di rendere la voce della giovane protagonista ironica ma malinconica al tempo stesso, disillusa ma speranzosa, presente ma distaccata. La narrazione ha una fluidità e un andamento pazzeschi, letto ad alta voce (qui, grande merito anche della traduttrice Vittoria Martinetto) il racconto ha un ritmo così naturale da dare la sensazione di avere instaurato un dialogo vero e proprio con la narratrice, come se fossimo a un tavolino e ci stesse raccontando a voce la propria storia.
I gatti non hanno nome non ha l’ambizione di essere un romanzo di formazione, di voler insegnare qualcosa rendendo esplicito il cambiamento avvenuto nella sua protagonista, ma è uno spaccato, un qui e ora, che racconta come pochi altri la transitorietà di certi momenti della vita in cui, non sapendo bene dove andare e cosa fare, ci si trova piuttosto a essere spettatori di quello che fanno gli altri e cercare di ricavarci qualcosa, con quella capacità tutta sudamericana di fare epica anche delle cose più quotidiane e con un linguaggio luminoso e illuminante.
Editore: NN Editore
Pagine: 169
ISBN: 9788899253202
Link utili: La pagina dell’editore – La wiki dell’autore
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