L’uomo nell’alto castello (finalmente con il suo titolo originale) è la terza uscita di Philip Dick a cura di Mondadori, che dallo scorso anno si è lanciata in una riproposizione della sua bibliografia, ritradotta o rivista per l’occasione, curata da Emanuele Trevi e con delle preziose introduzioni firmate da Emmanuel Carrère.
Da fan di Dick ho deciso di cogliere al volo questa occasione per riscoprirlo anche io: se nei miei primi anni da lettore era ben saldo nel mio olimpo personale, negli ultimi anni l’ho trascurato e quasi rinnegato in modo un po’ spocchioso; quale migliore occasione quindi per rileggerlo?
L’uomo nell’alto castello è forse il caso più celebre di ucronia, una branca della fantascienza che non va confusa con la distopia in cui l’autore si immagina che un evento del passato si sia svolto diversamente, dando così origine a un presente diverso da quello che conosciamo. È anche uno spartiacque nella carriera di Dick, che si aggiudica il Premio Hugo del 1963 come miglior romanzo e decide di abbandonare ogni desiderio di scrivere letteratura mainstream e di buttarsi per sempre sulla fantascienza.
Ne L’uomo nell’alto castello, Dick ci racconta di un’America divisa tra tedeschi e giapponesi dopo che l’Asse ha trionfato nella Seconda Guerra Mondiale: la Germania controlla l’Est, il Giappone l’Ovest; anche se questo delicato rapporto vede i tedeschi in una posizione di netto vantaggio, sono più avanzati tecnologicamente (hanno mandato i primi uomini su Marte) e hanno un’influenza su tutte le decisioni degli altri.
In questo scenario opprimente si muovono i personaggi protagonisti del romanzo che, se non ricordo male, differisce dalla gran parte della produzione di Dick per essere un romanzo con molti punti di vista che si alternano di capitolo in capitolo.
Tra questi abbiamo Robert Childan, un rivenditore di antiquariato prebellico americano di cui i giapponesi sono gran collezionisti e che, per lo più, è falso; Frank Frink, un artigiano che produce gran parte di questi finti oggetti d’antiquariato e che si mette poi in proprio per fabbricare gioielli; Tagomi, un diplomatico che ospita un produttore di armi svedese, tale Baynes, per farlo incontrare in segreto con un funzionario giapponese; Juliana Frink, ex moglie di Frank, che intraprende un viaggio on the road con un camionista italiano alla ricerca di Hawthorne Abendsen, misterioso autore di un libro proibito nell’America nazista ma che circola liberamente in quella imperiale, La locusta si trascina a stento, in cui si racconta di un’America libera dopo che gli Alleati hanno sconfitto l’Asse nella Seconda Guerra Mondiale. I nazisti non sono ovviamente contenti di questo libro e Abendsen è infatti costretto a vivere trincerato in un alto castello, al riparo da possibili attentati.
Man mano che le varie storie proseguono si comincia ad avvertire un’aura sinistra che aleggia su tutto, una crescente tensione che culmina al sorgere della domanda cardine: qual è la realtà? Quella in cui vivono i personaggi o quella raccontata ne La Locusta si trascina a stento?
È proprio su questa domanda che verte un po’ tutto il romanzo ed è per questo che in apertura ho detto che finalmente il romanzo viene riproposto con il suo titolo originale. La svastica sul sole era un titolo triviale, un solo riferimento allo snodo ucronico e una banalizzazione di tutto il romanzo. Il fatto centrale non è tanto che l’Asse abbia vinto la guerra, ma che uno scrittore sconosciuto e misterioso abbia scritto un romanzo messo al bando in cui accade il contrario. È questa ambiguità di fondo che rende L’uomo nell’alto castello un romanzo ucronico molto particolare e, diciamo oggi, così tipicamente Dickiano, visto che su cosa sia reale e cosa non lo sia ci si è poi interrogata gran parte della sua produzione.
È facile vedere un parallelo tra lui e Hawthorne Abendsen: Dick si è sempre considerato un incompreso, qualcuno in grado di vedere cose che agli altri sfuggivano o rifiutavano di vedere. In un’America libera in cui comunque la polizia tormentava gli innocenti, la gente aveva accettato il Maccartismo, vigeva ancora un profondo odio razziale e il capitalismo si stava imponendo sempre di più lasciandosi dietro una scia di poveri in difficoltà, Philip si chiede se davvero sia stata vinta la guerra contro l’odio e il male e avessero davvero trionfato la libertà e il bene.
Editore: Mondadori
Pagine: 300
ISBN: 9788804731467
Link utili: La pagina dell’editore – La wiki dell’autore
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