La bellezza è una ferita, di Eka Kurniawan, pubblicato nel 2017 da Marsilio è un bizzarro romanzo indonesiano che ricorda il realismo magico sudamericano, somiglianza che è valsa all’autore qualche scomodo paragone di troppo con Garcia Marquez, come è stato subito riportato anche sulla copertina. Non sono mai stato convinto che sia un bene accostare scrittori relativamente emergenti ai mostri sacri della letteratura, forse può pagare sulla breve distanza (ah, assomiglia a Marquez, lo prendo!), ma sulla lunga può avere effetti controproducenti. Ma questa è un’altra storia.
“Il pomeriggio di un fine settimana di marzo Dewi Ayu risorse dopo ventun anni che era morta.”
Dewi Ayu, storica e più bella prostituta che abbia mai messo piede città di Halimunda, è una mezzosangue indonesiana-olandese che un giorno, dopo aver partorito la quarta figlia, ha semplicemente deciso di morire e si è messa a letto avvolta in un sudario. E ventun anni dopo, altrettanto improvvisamente, risorge per mettere fine alla maledizione che da decenni tormenta lei e la sua stirpe.
La bellezza è una ferita è sostanzialmente divisibile in due parti: una prima, in cui ci viene raccontata tutta la vita di Dewi Ayu e come sia diventata la prostituta più richiesta di Halimunda; e una seconda, che invece segue da vicino le vite, pazzesche, di tutte le persone che la circondano: gli amanti, le figlie, gli amanti delle figlie, gli amanti che diventano amanti delle figlie, gli amanti che diventano amanti delle figlie e tornano suoi amanti, i nipoti, gli amanti dei nipoti, gli amanti dei nipoti che sono essi stessi nipoti, e così via.
Ma tutto questo marasma di storie familiari sarebbe stato fine a sé stesso se non avesse avuto sullo sfondo la storia del Novecento dell’Indonesia, che nel corso del romanzo passa dal controllo olandese a quello giapponese per poi ottenere la propria indipendenza nel 1945. Cambi politici e sociali che cambiano e sconvolgono le vite dei nostri protagonisti; li costringono a reinventarsi, a scappare, a lottare, a uccidere, a comandare.
Come la stessa Dewi Ayu, che passa dalla condizione agiata di figlia di coloni a quella di prigioniera politica e prostituta dei giapponesi nel giro di poco tempo; e anche quando torna libera è pur sempre una mezzosangue di chi ha dominato i locali per anni. C’è Compagno Kliwon, che in quanto comunista passa da eroe a improvviso nemico di stato.
E ci sono poi le donne, queste tutte o quasi, vittime degli umori e del potere esercitato sempre e solo dagli uomini, specialmente in tempi di guerra e guerriglia: sono loro a essere sposate già da ragazzine, violentate, messe incinte, abbandonate e tradite. La bellezza è una ferita, infatti, perché accende il desiderio in chi non sa resistergli: le donne e l’Indonesia sono nel romanzo costantemente vittime del desiderio di conquista di uomini e colonizzatori. La bellezza non è una cosa positiva in ogni contesto, ce ne sono alcuni in cui è meglio non attirare le attenzioni di chi è più potente di te se non hai modo di fronteggiarlo.
Sullo sfondo di La bellezza è una ferita però non c’è solo la Storia, ci sono anche folklore locale e fantastico. Ci sono stermini di innocenti e stupri, sì, ma anche fantasmi, maledizioni, principesse che sposano cani, donne che volano via e resurrezioni. Ogni capitolo è un susseguirsi di intrecci continui tra storia e fiction, tra reale e surreale.
E tutti questi aspetti, uniti a una scrittura brillante, forse non perfetta, che alterna ironia e crudezza con una facilità disarmante, va a formare un romanzo veramente unico e originale. Almeno fra le mie recenti letture faccio molta fatica a trovare qualcosa che gli possa somigliare.
Editore: Marsilio
Pagine: 498
ISBN: 9788831727792
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